Emergenza Covid19. Sospensione delle Attività commerciali e industriali, questioni pratiche di coordinamento tra DPCM e ordinanze regionali
Commento a cura dell’ Avv. Francesco Pezone, www.pmlaw.it
1. Come noto, il DPCM 11 Marzo 2020 ha sospeso le attività di commercio al dettaglio, le attività di ristorazione, le attività inerenti i servizi alla persona, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità specificamente individuate nonché le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie.
Successivamente, il DPCM 22 marzo 2020 ha sospeso tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’Allegato 1 fermo restando, per le attività di commercio al dettaglio, quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 e dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020.
Per le attività espressamente autorizzate dal DPCM non è necessario, dunque, compiere nessun adempimento formale per continuare la produzione. Le attività non ricomprese nell’elenco devono, invece, dare tempestiva comunicazione in Prefettura della prosecuzione della produzione nei casi previsti per legge.
Senza volere esaminare le altre disposizioni ivi contenute, la principale distinzione tra il DPCM del 11 Marzo 2020 e il DPCM del 22 Marzo 2020 riguarda i destinatari. Nel primo caso, i destinatari del provvedimento sono le attività di commercio al dettaglio e di prestazione di servizi.
Nel secondo caso, i destinatari del provvedimento sembrerebbero essere le (sole) attività produttive.
Ulteriore (e non secondaria) differenza tra i due DPCM riguarda la modalità di individuazione delle attività consentite (pardon, non sospese).
Nel primo caso la lista contiene una elencazione descrittiva, sebbene esaustiva, mentre nel secondo caso il Legislatore si è affidato a una categorizzazione effettuata in base ai cc.dd. Codici ATECO. La distinzione non è di poco conto, posto che le attività di commercio al dettaglio utilizzano (come le attività produttive) i cc.dd. codici ATECO (vedi infra) e posto che, in alcuni casi, i codici delle une coincidono con i codici delle altre.
In sede di denuncia per l’inizio attività di un’impresa vanno indicate, tuttavia, le attività effettivamente esercitate. C’è, quindi, una prevalenza della sostanza rispetto alla forma e le aziende possono produrre beni o servizi diversi da quelli indicati nel codice ATECO scelto, vuoi in maniera prevalente o secondaria, vuoi in maniera parziale o sussidiaria.
2. La prima questione interpretativa che hanno dovuto affrontare gli operatori, in questo senso, è stata quella di capire se le imprese di servizi alla persona o di commercio al dettaglio debbano sospendere l’attività se il loro codice ATECO non è inserito nel DPCM 22 marzo 2020.
La risposta è negativa. La normativa di riferimento sarà esclusivamente il DPCM 11 marzo 2020, perchè le disposizioni di cui al DPCM 22 marzo 2020 si applicano alle sole attività produttive.
2.1 Dubbi interpretativi si pongono, ancora, rispetto all’utilizzo dei codici ATECO nel caso in cui l’attività produttiva effettivamente svolta dall’azienda differisca dal codice ATECO attribuito in sede di iscrizione alla CC.I.AA. In questo caso dovrebbe, conservativamente, prevalere la sostanza rispetto alla forma e l’azienda dovrà proseguire solo l’attività produttiva non sospesa, interrompendo temporaneamente le altre linee produttive, salvo quanto disposto dall’art. 1, lett. d), e), g) e h) del DPCM 22 marzo 2020 e previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente.
A nostro parere, e in via cautelativa/prudenziale, la sospensione (ovvero la comunicazione al Prefetto) si rende necessaria anche ove ci sia dicotomia tra il codice ATECO attribuito alla azienda (che riguardi una attività consentita) e l’attività produttiva effettivamente svolta (invece vietata).
3. La pubblicazione del DPCM 22 marzo 2020, successivo sia alla Ordinanza Regione Lombardia n. 514 del 21/03/2020, sia al Decreto Regione Piemonte n. 34 del 21/03/2020 ha creato, infine, problemi di conflitto e coordinamento tra norme antinomiche.
Tale problematica di coordinamento è stata risolta nella giornata di ieri, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 19 del 25 Marzo 2020.
Nello specifico il Decreto disciplina le procedure per l’adozione delle misure urgenti per contrastare la diffusione del coronavirus, prevedendo che siano introdotte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute o dei Presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino una o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale.
È previsto inoltre che, per specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, i Presidenti delle Regioni possono emanare ordinanze contenenti ulteriori restrizioni, esclusivamente negli ambiti di propria competenza e senza incisione sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. Le ordinanze (regionali) ancora vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge continuano ad applicarsi nel limite di ulteriori dieci giorni.
Alla luce delle novità anzidette quando la norma regionale venga emessa in conseguenza di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario e non incida sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale, essa prevarrà sulla norma statale precedente, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e con efficacia limitata fino a tale momento.