Lockdown incostituzionale, il giudice di pace disapplica le sanzioni
Lockdown incostituzionale per il giudice di pace di Frosinone che annulla la sanzione comminata ad un cittadino per violazione dell’obbligo di stare a casa, senza dover neppure rinviare la questione alla Consulta. Infatti, è il ragionamento del Gdp, siccome le restrizioni sono state imposte con un atto amministrativo possono essere disapplicate direttamente dal Giudice.
Per prima cosa la decisione, depositata il 29 luglio scorso, contesta la legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e dei conseguenti Dpcm per violazione dell’articolo 95 e 78 della Costituzione. Secondo il Dlgs n. 1/18, argomenta, gli eventi emergenziali di protezione civile di rilievo nazionale sono “connessi con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”. E cioè calamità naturali: terremoti; valanghe; alluvioni, incendi ed altri; oppure eventi derivanti dall’attività dell’uomo, cioè sversamenti, attività umane inquinanti ecc.. Ma la fattispecie non è riconducibile al “rischio sanitario“. Non vi è del resto, aggiunge, nella Costituzione italiana alcun riferimento ad ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario.
Per la toga onoraria l’argomento che taglia la testa al toro è quello per cui: se si stabilisce “un divieto generale ed assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni”, allora si configura “un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare“. E nel nostro ordinamento l’obbligo di permanenza domiciliare “consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice”. Infatti, l’art. 13 Cost., stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria.
“Pertanto – prosegue la sentenza -, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare, direttamente irrogato a tutti i cittadini dal legislatore, anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare il ricordato art. 13 Cost”. Peraltro, trattandosi di DPCM, “cioè di un atto amministrativo“, il Giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge”.
Infine, conclude il ragionamento, non può neppure condividersi la considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale.
Per cui quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione, “è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale, perché, nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’Autorità giudiziaria con atto motivato”.
La sentenza ha così affermato la illegittimità del DPCM opposto per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicarlo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.